Stai lavorando in un ambiente poco stimolante? Percepisci una perdita di significato nello svolgimento della tua professione? Pensi che il lavoro che stai facendo non consenta di ottenere opportunità di crescita?
Se le risposte sono affermative, allora potresti esperire il boreout, una sindrome lavorativa che, pur essendo meno nota del cugino burnout, può avere effetti altrettanto debilitanti.
Diamo una definizione al costrutto, capiamo da cosa può essere causato, quali sono le sue conseguenze e scopriamo le contromisure che possono adottare il dipendente che ne soffre e la sua azienda. Buona lettura!
Definizione e framework di riferimento del Boreout
Il termine “boreout” è stato coniato da Rothlin e Werder nel 2008 e si riferisce ad uno stato psicologico negativo caratterizzato da una bassa attivazione fisiologica (sotto-stimolazione) legata al lavoro e, di conseguenza, da un declino della motivazione e delle prestazioni lavorative. Il boreout è un concetto composto da tre dimensioni: (1) noia legata al lavoro, (2) crisi del significato attribuito al lavoro e (3) crisi legata alle possibilità di crescita, elementi che portano ad una perdita importante di risorse. Nello specifico, la noia lavorativa può essere definita come uno stato di assenza di motivazione sul lavoro per la quale il dipendente si disinteressa delle proprie attività e riscontra difficoltà a concentrarsi su di esse a causa di un ambiente inadeguatamente stimolante. Un esempio pratico di questa dimensione può essere osservato quando le commesse all’interno dei negozi non hanno nulla da fare se non aspettare l’arrivo dei clienti. La crisi del significato attribuito al lavoro riguarda invece la percezione che il proprio lavoro o i suoi compiti siano privi di interesse e di scarso valore per l’azienda. Se il dipendente avverte questo, è molto poco probabile che cerchi di perseguire gli obiettivi dell’organizzazione. Infine, la crisi legata alle possibilità di crescita si riferisce alla misura in cui gli individui percepiscono di avere poche opportunità di crescita e di sviluppare competenze personali o legate alla mansione.
Nonostante un significativo incremento degli studi sul boreout negli ultimi anni, si può affermare che la ricerca sul costrutto sia in uno stadio di sviluppo pressoché embrionale e che necessiti di un approccio più quantitativo e sperimentale. Per questo motivo, ad oggi, non ci è possibile definire in che misura le tre dimensioni incidono nella definizione del boreout.
Ciò che per certo sappiamo è che, a differenza della sindrome da burnout caratterizzata da esaurimento emotivo, psichico e fisico, senso di inefficacia personale, depersonalizzazione e un elevato grado di stress, quella da boreout è distinta da noia dovuta alla sotto-stimolazione, un basso livello di strain (sforzo/tensione) e di attivazione prodotta dal lavoro e dalla percezione di essere inutili all’interno del contesto. Entrambi i fenomeni, dunque, hanno un impatto negativo sulla salute mentale e sulla produttività, ma la loro genesi deriva da cause pressoché opposte.
Le ragioni che conducono ad esperire il Boreout
La divisione Wiley Workplace Intelligence della casa editrice statunitense John Wiley & Sons, attraverso un sondaggio ha scoperto che il 25% dei dipendenti riporta di annoiarsi almeno due volte a settimana rispetto al 14% dei manager. Questa differenza può essere attribuita a diversi fattori che agiscono in modo concorrente.
Innanzitutto, su questo gap incide la mancanza di carichi di lavoro, attività e sfide stimolanti, il che rende la routine quotidiana monotona e porta ad un senso di inutilità percepita. Questa impossibilità di mettersi in mostra attraverso le proprie capacità e competenze non consente di ottenere né promozioni nella gerarchia aziendale e riconoscimenti di natura economica né apprezzamenti di natura verbale, quindi la mancanza di soddisfazioni è una componente molto impattante nella sindrome da boreout.
In alcuni contesti aziendali la problematica è esacerbata da coloro che hanno la responsabilità di prendere le decisioni e di gestire il lavoro dei propri collaboratori, come le figure dirigenziali, manageriali o i team leader, i quali talvolta non distribuiscono adeguatamente i compiti da svolgere, non riescono a delegare le attività per le quali il loro grado di expertise non è necessario e non coinvolgono attivamente il gruppo qualora si presentassero degli imprevisti con potenziali ricadute collettive negative. Al contrario, per coordinare in modo efficace una linea di produzione o un team di progetto è indispensabile distribuire equamente il carico di lavoro e confidare nelle capacità altrui lasciando un adeguato grado di autonomia; solamente così si sentiranno appagati, produttivi e apprezzati.
Un’altra statistica del sondaggio citato precedentemente riporta che se il 90% dei manager crede di stimolare sufficientemente i dipendenti attraverso il lavoro che viene loro affidato, solamente il 33% di questi percepisce di esserlo veramente. Alla base di ciò è evidente che ci sia un diffuso problema di comunicazione tra le due controparti, problema che viene rafforzano qualora i responsabili diretti o del team HR si dimostrino poco sensibili e attenti alle esigenze e al benessere dei collaboratori.
I suoi effetti sulla salute e sulla cultura aziendale
Ad alcuni sembra utopico il fatto che ci si possa annoiare mentre si è a lavoro, è decisamente più usuale sentire i propri amici e parenti lamentarsi dell’incredibile mole di impegni, scadenze e problemi irrisolvibili a cui sono sottoposti. Tuttavia, questo fenomeno non è così raro, e se viene protratto nel tempo può diventare un disturbo cronico che conduce a diverse problematiche, come:
- Degenerazione della salute mentale e fisica: così come il cugino burnout, il boreout porta ad esaurimento emotivo, un senso di vuoto nella propria esistenza, demotivazione, bassa autostima, crisi d’identità, ansia, tristezza e una minore creatività, tra le altre. Queste difficoltà, se somatizzate, si trasformano in problemi gastrici, mal di testa, insonnia e dolore toracico
- Comportamenti devianti: la precaria salute psicologica porta spesso ai datori di lavoro un aumento dei costi dovuto a comportamenti illeciti e scorretti da parte dei lavoratori, all’assenteismo e turnover del personale, ai fenomeni di cyber-loafing e cyber-slacking e a strategie di evitamento. Inoltre, come citato in uno studio finlandese di Harju, Hakanen et al., il boreout influisce pesantemente sulla richiesta di andare in pensione anticipatamente e sulla cattiva autovalutazione del proprio stato di salute e dei sintomi di stress.
- Demotivazione: lo sappiamo bene, le maggiori soddisfazioni le otteniamo quando siamo consapevoli di aver contribuito attivamente alla buona riuscita di un compito, quando gli sforzi vengono ripagati dalla qualità del lavoro svolto. E allora cosa succede quando siamo impossibilitati a fare qualcosa che ci soddisfa? Proviamo frustrazione, demotivazione, smettiamo di impegnarci anche nelle piccole cose, lavoriamo in modo impreciso, e, soprattutto, contagiamo chi ci sta attorno con pensieri negativi e opinioni ostili all’azienda. Questo non fa altro che alimentare un ambiente di lavoro nocivo, ostile e demotivato, peggiorando l’immagine dell’azienda anche al di fuori delle sue mura e consentendo ai singoli di adagiarsi nella loro comfort zone senza proseguire con lo sviluppo delle capacità e l’acquisizione delle competenze.
Alla luce di quanto detto, cosa può fare una azienda per evitare che i propri dipendenti esperiscano boreout? Partendo dalla base, è fondamentale comprendere come avviene la gestione dei team e la distribuzione dei carichi nei vari ruoli per renderli equi, redistribuire le responsabilità e fissare gli obiettivi da raggiungere. A tal fine, estendere l’autonomia decisionale a compiti inediti può essere un’arma efficace per mantenere alta la motivazione, la proattività, dar loro uno scopo e l’opportunità di sviluppare skill nuove. La formazione, infatti, è un elemento fondamentale per stimolare il desiderio di crescere, apprendere concetti e competenze, ma spesso non viene seguita da una reale progettualità di carriera. I bravi leader sono coloro che riescono a cogliere i campanelli d’allarme dei propri collaboratori prima che si manifestino delle conseguenze gravi, sia dal punto di vista della salute che da quello imprenditoriale, e che, invece di ignorarli, cercano di porvi rimedio risalendo alle loro cause.
Autore: Tommaso Tarondo.